Questo articolo parte da una storia, una fra tante. Unica, ovviamente, però pure con elementi abbastanza ricorrenti, pur con mille declinazioni differenti, in molte persone.
È la storia di una persona che piano piano ha messo da parte sentimenti e emozioni, che ha investito tutto o comunque molto sul lavoro, che da quel punto di vista ha fatto strada ricevendo apprezzamenti e soddisfazioni. La storia di una persona che ha avuto relazioni, e in alcune di esse ci credeva, relazioni poi finite nella delusione e nel dolore. La storia di una persona che fa, che corre, che insegue, una persona che si trova bene con tutti e con nessuno, una persona che a poco a poco ha imparato a non coinvolgersi in relazioni intime o comunque mantenere una distanza di sicurezza perché la paura di essere (di nuovo) ferita, delusa, offesa, è diventata angoscia.
Per questa persona essere sfiorata dagli affetti, dall’amore, dai sentimenti positivi non è cosa da nulla: “ci si potrà fidare?”, “e se poi mi delude?” pensa. Eppure desidera un legame, magari lo sogna, ma abbandonarsi al piacere di pensarsi insieme ad un altro individuo è pur sempre un sogno minaccioso
Vi riconoscete? Riconoscete qualcuno in questa storia?
Be’, portata alle estreme conseguenze questa è una storia sull’anaffettività, cioè su quella difficoltà o vera e propria incapacità di provare e mostrare affetti, sentimenti ed emozioni.
L’anaffettività è una manifestazione di una difesa personale nei confronti di un mondo percepito come ostile, potenzialmente deludente e nei confronti di se stessi, costruiti come scarsamente amabili o di basso valore. Aprirsi significa, infatti, scoprire le carte e rischiare di non piacere. Allo stesso tempo vuol dire af-fidarsi, dare fiducia ad un altro che, potenzialmente, potrebbe deludere o abbandonare.
Per una persona cosiddetta “anaffettiva” la soluzione migliore è irrigidirsi da un punto di vista emotivo e relazionale e cercare di costruire una immagine di sé apprezzabile attraverso elementi impersonali come il lavoro.
Tutto questo ovviamente a grandi linee: sicuramente, è il caso che ha ispirato la nostra storia.
Che fare?
Finché le cose “vanno”, pur a fatica, nessun problema. Quando però ci si accorge che qualcosa non funziona, che questo modo di essere non è “economico”, nel senso che fa perdere energie e opportunità occorre prendere il coraggio di intraprendere una psicoterapia. Diciamo “coraggio” perché si tratta di entrare in relazione con un altro (lo psicoterapeuta appunto) e con se stessi e ciò, proprio per la natura stessa del problema, non è poi così facile.
Dove ci condurrà la psicoterapia? Questo viaggio affettivo condiviso potrà permettere alla persona di toccare tuto ciò che ha messo da parte, tralasciato, avvicinarsi pian piano alle ferite e al dolore, al suo mondo interno scoprendo così il senso che ha essere come è fino a potersi sperimentare in un altro modo, coerente con se stessa e la propria storia, ma allo stesso tempo diverso, meno faticoso e più flessibile.
Ti riconosci nelle caratteristiche descritte in questa storia? Prendi in considerazione un aiuto professionale. Questo potrebbe dare una svolta positiva alla situazione. Contattaci attraverso il form o per telefono (333.9640032)
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