Bambini nel lettone sì o no? Simone Pesci, autore di questo articolo, spiega la teoria dell’attaccamento e il concetto di “naturale” per aiutare i genitori a fare una scelta consapevole rispetto all’educazione del sonno dei bambini.
Molto frequentemente a sostegno del co-sleeping – letteralmente “dormire insieme”, nello stesso luogo – e del bed-sharing – letteralmente, “condivisione del letto” – viene portato l’argomento che questi modi di fare favoriscono l’attaccamento (Proprio così!). Va detto che l’attaccamento per definizione è un sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone: quindi si instaura comunque fra un bambino e il suo caregiver. Caso mai il punto è se questo legame è di un tipo, una qualità insomma, oppure di un altro (sicuro, insicuro, disorganizzato ecc.).
Se non vi sono dubbi sul valore della vicinanza del contatto e dell’affetto, è bene che i genitori (e alcuni colleghi) possano avere le idee ancora più chiare rispetto a che cosa è l’attaccamento.
Teoria dell’attaccamento e co-sleeping (bed-sharing)
La Teoria dell’Attaccamento è stata elaborata da Bowlby a seguito di numerose ricerche sui legami fra i genitori, la madre in particolare, e i bambini. Sui legami di attaccamento e i pattern relazionali nel tempo sono stati fatti molti studi che hanno confermato la validità dell’impianto teorico e hanno arricchito la visione di insieme.
È bene dire che la teoria dell’Attaccamento è una teoria della protezione dal pericolo. Questo è un punto cruciale. Potremmo sintetizzare dicendo che il bambino quando avverte un pericolo (per es. ha fame, freddo ecc.) chiede aiuto e conforto a chi gli sta intorno: dal modo, ricorrente, con cui i genitori rispondono a questa richiesta lui si fa una idea di come reagiscono, di come è fatto il mondo e di quanto può cavarsela. L’attaccamento di tipo “sicuro” è caratterizzato dal fatto che il bambino sa che i genitori accorreranno in caso di pericolo e che comunque lui è in grado di farcela e di esplorare l’ambiente. Compito del genitore, infatti, è dare conforto e cura e contemporaneamente aiutare il bambino a vedere il mondo con un luogo sufficientemente non pericoloso.
Il ripetersi di certi schemi comportamentali permette al bambino di crearsi una immagine di se stesso, dei suoi genitori e del mondo che lo circonda.
Dormire insieme o separati non dice molto su come il genitore si attiverà di fronte al pericolo percepito del bambino, anche solo per il fatto che pure durante il giorno il bambino “registra” ciò che accade.
Risposte troppo intense o affrettate sono sì di conforto, ma contribuiscono a creare nel bambino l’idea che il mondo è molto pericoloso e che lui non potrà cavarsela da solo; risposte troppo blande e tardive daranno al contrario un senso di abbandono, di impossibilità di poter contare sull’aiuto di un altro; risposte incongruenti rispetto al pericolo o diverse di volta in volta renderanno il bambino incapace di anticipare convenientemente gli eventi.
Come si vede non è stare o non stare nel letto con i genitori l’elemento determinante.
Ovviamente con lo sviluppo i pericoli percepiti e le potenziali autonomie del bambino cambiano, ma il principio resta sempre lo stesso: troppo presto fa ansia, troppo tardi fa solitudine.
Il ritorno alla “natura”
Un altro aspetto portato a sostegno del co-sleeping e del bed-sharing è il fatto che “in natura i cuccioli non dormono soli”. Rispetto ad affermazioni di questo tipo, che peraltro danno il titolo anche ad un vero e proprio bestseller, bisogna fare almeno due riflessioni: la prima riguarda la definizione di “cucciolo”: fino a quando si è cuccioli? Lo dicevo prima: età diverse, esigenze diverse; un conto è parlare di neonati, un conto di bambini in età scolare.
Il secondo aspetto riguarda, invece, la “natura” la quale viene tirata in ballo per la sua presunta perfezione rispetto al genere umano “tendenzialmente” portato a combatterla o a distruggerla. Il fatto è che in natura esistono molte cose. Le tartarughe marine, per esempio, abbandonano le uova sulla spiaggia e lasciano che i piccoli affrontino il loro viaggio verso il mare in maniera del tutto indipendente. In natura alcuni animali per mantenere la supremazia territoriale mangiano le uova o i cuccioli di altri consimili ecc. Basterebbero questi esempi per non poter accettare che ciò che avviene in natura per altre specie funzioni anche per l’Uomo. Poco importa inoltre che gli altri primati si comportino in un certo modo o che in altre culture ci siano specifiche consuetudini: altri primati, per esempio, sono organizzati in branchi in cui il capo maschio possiede a suo piacimento tutte le femmine; e, in aggiunta, che ne dite del fatto che la maggior parte degli esseri umani non si lava dopo aver espletato i propri bisogni corporali? Voglio poi proseguire questa riflessione dicendo che in natura esistono meravigliose piante officinali e contemporaneamente ci sono i funghi velenosi e/o allucinogeni, insetti velenosi, virus aggressivi per l’essere umano: non possiamo affermare quindi che tutto ciò che è in natura sia buono per noi.
La specificità dell’essere umano d’altro canto è un fatto incontrovertibile. Se leggete queste parole state guardando un pc al quale è stato inviato un testo, scritto a mano con una penna a sfera su un foglio di carta, codificato secondo una lingua per la quale i suoni del parlato hanno un corrispondente segno grafico; tale testo è stato scritto su una sedia, all’interno di un palazzo climatizzato, dotato di illuminazione artificiale e scarichi per le acque chiare e per le acque scure. Tutto questo non appartiene ad altri essere viventi: ciò non significa che l’uomo sia superiore agli altri animali, ma certamente che ha avuto una evoluzione tanto complessa che non può essere trascurata.
A tale complessità si è ispirata l’ironia dell’immagine che accompagna questo articolo. La “natura” non può essere chiamata in causa solo quando e quanto fa comodo.
Conclusioni
A me le esagerazioni non piacciono. Ci sono professionisti talmente trincerati sulla propria idea che diventano quasi talebani. E per “vendere” il loro pensiero estremizzano degli aspetti a discapito di altri per sfruttare le insicurezze e i dubbi dei genitori in tema di educazione dei figli. E intorno a questi estremismi fiocca un mercato fiorente, tanto più le posizioni sono estreme.
Senza nulla togliere al lavoro dei colleghi che sposano una posizione piuttosto che un’altra e scrivono libri su libri, rilasciando interviste e diventando dei guru sull’argomento, il fotomontaggio ironico vuole essere un modo per far riflettere le persone sull’argomento, risvegliando in loro una coscienza critica.
Sul tema, oltre all’ironia, aggiungo anche queste 4 considerazioni professionali che secondo me sono rilevanti:
- È importante l’equilibrio: la scelta dovrebbe essere condivisa dalla coppia ed essere pensata in funzione delle reali esigenze del bambino, non su quelle dei genitori. Facile capirlo, no?
- Età diverse, esigenze diverse: quando si parla di co-sleeping spesso ci si dimentica di dire che neonato, bambino prescolare e bambino scolare, tanto per fare alcune distinzioni di massima, hanno necessità molto diverse tra loro.
- Ogni scelta è “giusta”, basta che funzioni: se i due genitori stanno bene, se la coppia è in salute, se il bambino non mostra difficoltà o comportamenti inadeguati per l’età, in linea di massima possiamo dire che la situazione è ok.
- Flessibilità: se una cosa funziona bene, non è ben detto che continui a funzionare bene.
Una quinta considerazione la scrivo da genitore:
- Ogni scelta è privata: una coppia può decidere autonomamente, ma dovrebbe sempre ricordarsi di non guardare chi ha fatto scelte diverse come un alieno.
Se abbiamo capito cosa è la teoria dell’attaccamento, come si fa a favorire un attaccamento di tipo sicuro e che la natura non può essere il jolly con il quale dare valore ad una proposta educativa, possiamo serenamente porci la domanda iniziale: co-sleping sì o no?
Da un punto di vista scientifico non c’è una risposta definitiva, essendoci numerosi studi che mettono in evidenza i benefici e i rischi di ogni modello educativo che riguarda il sonno. Da un punto di vista professionale clinico invece ritengo che la risposta sia nella percorribilità che quella scelta assume in quella specifica famiglia.
Vi è piaciuto l’articolo, ma non siete sazi? Desiderate un approfondimento? Vi consiglio questi tre contributi:
- http://bit.ly/2EzR8OG riporta l’opinione professionale del Prof. Bianchi di Castelbianco, psicologo e psicoterapeuta, incentrata soprattutto sull’età scolare.
- http://bit.ly/2Fe9Rg1 riporta l’opinione della pediatra dott.ssa Moschetti, un po’ più articolata rispetto alla precedente
- http://bit.ly/2iSxjV1 è un articolo che mette in luce il dibattito sull’argomento.
Se avete bisogno di un sostegno psicologico al vostro lavoro di genitori oppure, semplicemente, desiderate riflettere sulle scelte che state facendo rispetto all’educazione dei figli, contattateci attraverso l’apposito form o telefonando qui.
Dott. Simone Pesci
Psicologo, Psicoterapeuta, svolge attività clinica presso il Centro Studi Specialistici Kromos, ed è ricercatore e formatore presso l’Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca. (Contatto diretto: 3339640032)
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