Dal pianto al capriccio – la “bizza”
I bambini piangono, si sa. Il pianto ha infatti una funzione evoluzionistica importantissima: serve a stimolare la presenza fisica e le cure dei genitori. Numerosi studi hanno confermato tale funzione. Ma il pianto è diverso a seconda dell’età, non solo per timbro, tono, intensità, durata ecc., ma soprattutto per intenzione e anticipazione: il neonato piange in relazione ad un bisogno o un dolore e non sa che cosa accadrà (spera, in poche parole, che qualcuno arrivi); già a partire dai due anni circa, invece, il bambino è in grado di anticipare il risultato del comportamento altrui in funzione del suo pianto e di modulare la sua manifestazione in funzione di fattori interni ed esterni (per esempio piango più forte se la mamma è lontana).
Con l’andare del tempo il pianto del bambino, oltre alla funzione evoluzionistica legata alla sopravvivenza, inizia ad essere usato pure per il raggiungimento di obiettivi, un pianto che può trasformarsi allora in manifestazioni di ostinazione nei confronti di divieti e obblighi (il cosiddetto “capriccio”). Dai dodici mesi ai tre anni comportamenti di ostinazione anche eclatanti e rabbiosi sono molto comuni e servono per prendere le misure del genitore, formandosi una cornice normativa che aiuta il bambino a sapere ciò che è lecito e cosa no, cosa è pericoloso e cosa non lo è. Insegnare a gestire la frustrazione derivante dalla sensazione di sconforto o di rifiuto è l’obiettivo che i genitori dovrebbero porsi. Quanto è più facile nel breve periodo accontentare il bambino che fa la lagna o che fa un capriccio! E dopo?
Gestire i “capricci”
Ma vediamo in breve qualche punto chiave per gestire i “capricci” (la cosiddetta “bizza”) e i comportamenti indesiderati dei propri figli.
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Avere una linea comune con le altre componenti educative.
I genitori (e per estensione i nonni, gli insegnanti ecc.) dovrebbero essere tutti più o meno concordi sui principi generali dell’educazione che vogliono dare ai bambini. Ciò rende più facile gestire i comportamenti sgraditi, crea una cornice chiara al piccolo e diminuisce i conflitti negativi nella coppia genitoriale.
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Rimanere calmi e lucidi.
Se si perde le staffe come è possibile pretendere che il bambino non le perda? Oltre a ciò, essere calmi e lucidi permette di osservare e osservarsi meglio e consente di fornire un elemento di sicurezza nello sconvolgimento emotivo che il bambino dimostra nel momento del capriccio o del comportamento indesiderato.
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Mettersi nei panni del bambino per capire qual è il suo reale bisogno.
Non bisogna dare per scontato che ciò che un bambino (o una persona) verbalizza sia quello che vuole veramente. Leggere la situazione dal punto di vista del bambino può rendere più chiaro il modo con cui rispondervi. Mettersi nei panni non vuol dire però che il bambino ha sempre ragione!
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Comprendere e rimandare al bambino l’emozione che sta provando.
Diretta conseguenza del punto precedente, la comprensione dello stato emotivo del bambino permette di rimandargli esplicitamente ciò che prova. Ciò serve innanzi tutto a fargli vivere una esperienza di comprensione (“il genitore magari non accetta ciò che faccio, ma mi ha capito”), serve poi a rendere evidente una emozione e a permettere al bambino di rendersene conto; serve infine a non rispondere all’aspetto verbale e cognitivo, bensì agli elementi emotivi e relazionali della situazione.
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Cercare di rispondere al reale bisogno
o comunque accoglierlo, se non è possibile soddisfarlo. A volte ottenere una cosa non è possibile, però è possibile vedere che l’altro ha perfettamente compreso ciò che volevo e che, se fosse stato possibile, non avrebbe posto ostacoli. Così, un sì ha più valore, quando viene accordato.
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Scegliere quale “capriccio” o comportamento sgradito ignorare
e quale considerare. Non tutto è ugualmente disdicevole, inadatto o esagerato. Aver chiari i limiti entro cui il bambino si deve muovere li rende chiari anche a lui. Così un intervento, quando si rende necessario, ha ancora maggiore autorevolezza.
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Sanzionare (eventualmente) il comportamento e non la persona.
È diverso dire “sei sbagliato” da “quello che hai fatto non va bene”. Il rimprovero deve essere sempre circostanziato al momento presente per assumere un valore di norma rispetto a ciò che si può e a ciò che non si può fare, mantenendo l’amore incondizionato.
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Mostrare la propria emozione di fronte al comportamento o al capriccio.
Per un bambino sapere come si sente un genitore può essere molto importante per modulare il proprio comportamento proprio perché in questo modo sa esattamente cosa prova l’altro e può regolarsi di conseguenza. Anche in questo caso la nostra reazione emotiva “negativa” deve essere mostrata in relazione al comportamento e non alla persona.
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Dare spiegazioni brevi, facili e comprensibili
con tono fermo e calmo. Spiegazioni forbite, lunghe, articolate sui perché dei rimproveri, non servono a niente poiché si perdono e rimangono soltanto a livello cognitivo. Una frase di richiamo breve colpisce anche l’aspetto emotivo ed è più facile da capire e da memorizzare.
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Riconoscere che è stato bravo a calmarsi.
Chiudere un evento problematico è altrettanto importante che gestirlo: significa ricucire lo strappo relazionale, ricreare un clima sereno. Per questo sottolineare la “bravura” nell’aver ripreso il controllo può essere una buona idea, così come esprimere come ci si è sentiti durante il capriccio. Un “mi dispiace vedere che ti scaldi tanto” può chiudere un capriccio in modo emotivamente caldo e rilevante.
Non è per niente facile, vero? Spesso i genitori trovano modi che di fatto contengono molti di questi elementi. Altre volte invece, anche perché il problema del capriccio o del comportamento indesiderato comincia ad assumere una rilevanza notevole, non riescono da soli a vedere una via di uscita. In questo caso può essere fondamentale chiedere un aiuto professionale.
Chiamaci o contatta direttamente uno dei nostri professionisti. In questa particolare “area” ti consigliamo:
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